sabato 5 ottobre 2013

Zucchero amaro, il rapporto Oxfam di Andrea Martire

Nel giorno della tragedia di Lampedusa la riflessione ci porta a considerare un altro fenomeno tragicamente attuale, il land grabbing. Ci eravamo già soffermati proprio su queste colonne sulla relazione tra mercato e abuso e oggi ci proponiamo di dimostrare come, spesso, questo fenomeno dal nome difficile e di cui si parla poco arrivi a produrre ciò per cui più di cento persone sono morte ieri.  Una chiave di lettura diversa, forse utile a combattere le “astuzie della mente” di hegeliana memoria che a volte complicano anche le cose semplici. 
Due giorni or sono è uscito il report “Zucchero amaro” di Oxfam Italia che racconta come si sta evolvendo una delle più usate commodity alimentari del mondo, lo zucchero. La vita di milioni di persone che vivono laddove i principali beni alimentari (grano, tabacco) vengono prodotti è legata a doppio filo all’andamento dei mercati. Se tra sei mesi il tabacco in Europa non si vende più l’economia del centro-America sarà sconvolta perché i campi saranno abbandonati e milioni di honduregni e panamensi dovranno riorganizzarsi in fretta se non vorranno avere grandi guai economici. Ma il contrario è forse peggiore. Lo zucchero si sta apprezzando; cresce la domanda mondiale e le multinazionali hanno fiutato l’affare. 
La tendenza viene da lontano, è ormai decennale. In Europa ormai non se ne produce quasi più, in Italia è rimasto qualche sparuto produttore tra Emilia e Veneto ma ormai, essendo venuto meno il premio della vecchia Pac  produrre zucchero costa troppo. E poi quello caraibico di canna ha preso piede nei consumi e risulta meno lavorato industrialmente.
Lo zucchero è un mercato dominato dalla domanda. 
Il Rapporto Oxfam evidenzia come nel 1998 una comunità di pescatori del Pernambuco, siamo nel Brasile pre-Lula, fu letteralmente sfrattata dalle terre che abitava da sempre per far impiantare uno stabilimento di produzione di zucchero che rifornisse il maggior compratore mondiale, una multinazionale del beverage. Nel 2006 successe una cosa ancora più grave in Cambogia, paese dalla grande dignità e dall’immensa povertà. La popolazione cacciata è ricorsa alla Corte di Giustizia Internazionale, vedremo se prevarrà lo jus cogens della carta delle Nazioni Unite o l’interesse economico della multinazionale.  
Il commercio mondiale dello zucchero è un business globale che vale oggi circa 47 miliardi di dollari. L’anno scorso nel mondo sono state prodotte 176 milioni di tonnellate di zucchero, di cui il 50% è destinato all’industria alimentare. Già oggi, la superficie utilizzata per la coltivazione di canna da zucchero è di 31 milioni di ettari: un’area grande come l’Italia, per lo più concentrata nei paesi in via di sviluppo.

Ma il mercato richiede produzione e la produzione richiede terra. Chi ha la forza di opporsi ai giganti economici e politici come le multinazionali del beverage? Anche da qui prende le mosse il neo-colonialismo odierno, il land grabbing. 
Sta succedendo anche in Africa, in questo caso sono i cinesi che procedono all’acquisto delle terre e poi all’espulsione più o meno indotta di chi ci ha sempre vissuto e lì ha le proprie radici. E’ un colonialismo brutale come ogni colonialismo. Ma è finanziario, senza esercito, senza presenza fisica. Non c’è bisogno, si comprano la terra su cui stai e addio diritto di proprietà. 
Lo zucchero sta distruggendo ettari e popolazioni in tutto il mondo. I cambogiani magari nel Mediterraneo non ci arrivano ma i maliani e i mauritani sì. E qualche volta finisce con centinaia di morti sulle  coste di Lampedusa. 
Esercitare bene la facoltà di essere consumatori avveduti è fondamentale anche per questo.

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